Cronaca
22 Aprile 2013
Anguillara festeggia il suo patrono

ANGUILLARA – Oggi Anguillara in festa in onore del patrono, San Biagio, vescovo armeno martirizzato nel 316 d.C.. Il clou delle celebrazioni è per le ore 17 quando dalla chiesa di San Biagio si snoderà la processione con la statua del santo portata a spalla dalle Confraternita di Anguillara della Rossa che si snoderà per il centro storico per arrivare alla chiesa di Santa Maria Assunta dove si terrà la solenne messa, officiata dal vescovo della diocesi di Civita Castellana, monsignor Divo Zadi, e il tradizionale rito dell’unzione della gola. Alla processione prenderanno parte anche i confratelli della Nera. In programma anche, alle 8, alle 10 e alle 11.30 altre messe nella chiesa di San Biagio. In occasione della festa del patrono gli esercizi commerciali resteranno chiusi.
Biagio, vissuto nel IV secolo, era un medico di origine armena. Divenne vescovo della città di Sebaste dove operò numerosi miracoli. San Biagio è considerato uno dei 14 santi ausiliatori, che vengono invocati nel momento del bisogno. La sua vicenda umana è caratterizzata da torture disumane, ma anche da dimostrazioni di amore e di vita: è ricordato per aver salvato un fanciullo che aveva ingoiato una lisca di pesce. Ma è meno noto l’episodio in cui il santo impone la propria volontà su di un lupo, che aveva appena rubato un maiale a una vedova. Biagio ordinò alla fiera di restituire la preda ed essa obbedì. Per volontà di Flavio Licinio, Biagio, nel 316, fu messo sotto processo dal pretore Agricola. Subì una terribile tortura, fu appeso ad un trave lacerato con pettini di ferro. Ricondotto poi in tribunale, fu ordinato che fosse immerso in un lago, le cui acque si divisero e formarono due mura, che gli consentirono di camminare a piedi asciutti. Fu quindi condannato alla decapitazione che avvenne il 3 febbraio del 316. La sua storia è giunta fino a noi attraverso il libro La Leggenda Aurea, scritta da Jacopo da Varagine intorno al 1260, che ebbe grande diffusione nel Medioevo. Alla sua morte il suo corpo fu deposto nella sua cattedrale a Sebaste, ma nel 732, con l’incalzare della conquista araba, le sue spoglie vennero imbarcate da alcuni armeni alla volta di Roma. Secondo la tradizione, un’improvvisa tempesta costrinse la nave a naufragare nelle acque di Maratea, presso l’isolotto di san Janni. Gli abitanti del castello di Maratea si affrettarono a portare soccorso e nell’imbarcazione trovarono ben custodita un’urna marmorea, contenente le spoglie di san Biagio. In cima al colle che sovrasta la cittadina venne costruita una cappella sulle rovine di un tempio dedicato a Minerva. E Maratea tuttora ne conserva le reliquie. Il 3 maggio 1941 fu fatta una ricognizione ufficiale per il riconoscimento di quanto contenuto nell’urna: il torace, una parte del cranio, un osso di un braccio e un femore del santo armeno.
Il culto di San Biagio è molto diffuso. Molti sono i patronati a lui attribuiti. È considerato patrono della gola. Mentre ad Anguillara infatti avviene il rito dell’unzione con olio precedentemente benedetto, in altre feste a lui dedicate vengono accostate delle candele alla gola dei fedeli. In alcune regioni, parte del rituale sono delle pagnottelle, che ricordano nella forma la gola. Per il miracolo del maialino, San Biagio, è inoltre il patrono dei porci e protegge contro le bestie feroci. Per la tortura dei pettini di ferro è anche patrono dei cardatori. Altri patronati hanno origine da assonanze e analogie: poiché il latino blasius ricorda il tedesco blasen (soffiare), in Germania è patrono dei suonatori degli strumenti a fiato, in Francia per la somiglianza con ble, grano, viene invocato prima del raccolto. A Roma nel 1832 papa Gregorio XVI donò agli Armeni la chiesa di San Biagio della Pagnotta in via Giulia, dove fino ad oggi si officia la santa messa in lingua armena, secondo l’antica liturgia della chiesa apostolica armena e si distribuisce il 3 febbraio la pagnottella benedetta. Anche per i milanesi è una figura familiare, alcune sue statue adornano le guglie del duomo: i fedeli, onorandolo come il protettore della gola, a Natale, secondo un rito, rinunciano a una porzione di panettone, che verrà mangiato, con fede taumaturgica, il 3 febbraio.