Caro Direttore, raccolgo volentieri l'invito a partecipare al dibattito, che il Tuo Giornale ha avviato sullo stato del lavoro a Civitavecchia, ma non in chiave polemica rispetto ad un recente intervento del Presidente della CNA, Alessio Gismondi.
Ed in effetti non ci sono motivi di polemica con Gismondi, del quale in occasioni ufficiali ho avuto modo di apprezzare la passione civile, l'impegno e la lucidità dei ragionamenti, se non altro perchà© è lui stesso a riconoscere che la Cassa è stata sempre presente quando si è trattato di confrontarsi sui temi sensibili del mondo del lavoro, di cui le imprese costituiscono essenziale componente.
Sicuramente non è stato Gismondi a male interpretare le considerazioni che ho svolto in occasione della presentazione del Tavolo di concertazione e sviluppo del territorio, presenti il Sindaco Saladini e numerosi Assessori provinciali e comunali, credo invece di non aver avuto la capacità di farmi comprendere.
Ci ritorno, allora, brevemente.
Lasciamo da parte la definizione di autoreferenzialità che ho dato al Tavolo, che denotava il sentimento di insofferenza, che i vecchi possono permettersi, per i luoghi comuni, le omologazioni, le professioni di comune appartenenza, l'atmosfera da anno zero e così via, e proviamo ad entrare nel merito.
Il mio ragionamento si articolava, sostanzialmente, in tre punti.
Primo, più o almeno quanto Gismondi sono convinto che le piccole e medie imprese costituiscono l'ossatura del nostro sistema produttivo e sono anche convinto che le grandi imprese in molti casi, a parte fenomeni distorsivi della concorrenza, hanno rappresentato un peso per la collettività . Del resto, di grandi imprese da noi non ce ne sono e la nostra attenzione deve necessariamente essere rivolta a quelle medio-piccole. Non ho parlato, poi, di imprese di serie A e di serie B e non avrei potuto farlo, persuaso come sono che nessuna impresa meriti una classificazione, costituendo ciascuna a suo modo un'entità originale, preziosa, fatta di lavoro, sacrifici, inventiva. Ho detto altre cose, ma lo vedremo tra poco.
Secondo, sulla ricorrente riscoperta della nostra vocazione turistica mi sono permesso di osservare che un Tavolo locale è troppo angusto: intanto occorrerebbe dilatarne la dimensione almeno a scala comprensoriale, per cogliere le straordinarie opportunità offerte da una costa che da Ladispoli a Montalto di Castro ha pochi rivali, da città come Tarquinia e Cerveteri, dichiarate dall'UNESCO patrimonio dell'umanità , dall'unicità naturalistica dei Monti della Tolfa; in secondo luogo, in un mondo ormai senza confini, non sono globalizzate soltanto la produzione, l'economia e la finanza, ma anche il turismo, che, per le crociere, diventate da noi un fenomeno di grande rilevanza impensabile fino a pochi anni fa, si vende alla borsa di Miami e sappiamo che i prodotti, anche quelli cattivi, si vendono solo se sono imposti dalla pubblicità . Credo che su quest'ultimo versante da un paio di anni a questa parte si sia attivata l'Autorità Portuale ed anche operatori privati, ma non sarebbe male che venisse un segnale dagli enti locali, sebbene personalmente rimango dell'opinione che l'iniziativa debba rimanere nelle mani degli imprenditori, ai quali riconosco quell'autonomia e quello spirito creativo che raramente albergano nelle istituzioni pubbliche.
Terzo e più dolente, la condizione delle imprese locali nel tempo della realizzazione di grandi opere. Mi riferisco ai mastodontici lavori portuali e alla nefasta riconversione a carbone della centrale di Torre Valdaliga Nord. Per i primi bisogna distinguere: un conto sono i servizi, altra cosa i lavori. I servizi hanno avuto negli ultimi dieci anni un incremento straordinario. Miriadi di aziende medio piccole hanno saputo cogliere l'opportunità offerta dall'incremento dei traffici, adattandosi rapidamente dopo aver vissuto una prolungata stagione di stagnazione. Se la tendenza si conferma e rafforza lo scalo rappresenterà occasione di promozione per ulteriori iniziative imprenditoriali. Non così per i lavori: la dimensione e la specialità delle opere taglia fuori, salvo rare eccezioni di ATI, le imprese locali, che necessariamente operano a cottimo o in subappalto. Nulla di male, se non fosse per i tempi lunghi dei pagamenti, fenomeno che ritroveremo ingigantito per le imprese che lavorano nel cantiere ENEL.
Veniamo, ora, al problema dei problemi, la riconversione. Dice Gismondi: I lavori avrebbero dovuto portare occupazione e sviluppo sul nostro territorio. Cosa mi sembra non accaduta, quantomeno per le imprese iscritte alla CNA.. Evidentemente, ero stato eccessivamente ottimista quando, voce inascoltata insieme a molte altre, avevo scritto che la esperienza del passato insegnava che le imprese locali erano uscite dai lavori di costruzione delle centrali più povere (alcune sono addirittura sparite) di come ci fossero entrate. Qui, per come riferisce Gismondi, è ancora peggio: le imprese non sono neppure riuscite ad entrare nel circuito del lavoro! Non è detto che sia un male. Conosciamo, infatti, le difficoltà delle imprese che nel circuito ci sono entrate: abissali ritardi nei pagamenti con il risultato che i magri profitti (le commesse sono all'osso) vengono fagocitati dagli oneri finanziari ed il lavoro anzichà© promuovere l'irrobustimento delle aziende serve soltanto a far muovere la ruota. Una spirale perversa, da cui non si esce anche perchà© alla stregua dei criteri di Basilea per l'accesso al credito le imprese che operano in quel modo hanno rating improponibili. La Cassa ha siglato convenzioni, ha stabilito rapporti con i COFIRI, ma raramente è riuscita ad accompagnare, come avrebbe voluto, le imprese locali impegnate nel cantiere ENEL, essendo obbligate, per la nostra come per le altre Banche, le procedure per la concessione dei finanziamenti. Così anche per lo sconto delle fatture, che le imprese sono il più delle volte costrette ad affidare, altra bella soluzione!, ad una finanziaria diretta emanazione dell'ENEL.
Quella della riconversione di Torre Nord è stata una scelta sciagurata, non meno sciagurata di quella di Torre Sud quando l'impianto era alle soglie dell'obsolescenza. Si pensi soltanto, con lo sviluppo portuale che c'è stato in questi anni e che tutti auspichiamo incrementi in futuro, quali opportunità di occupazione e quali possibilità si sarebbero aperte per le imprese se solo la città si fosse riappropriata delle aree attualmente occupate dalle Centrali. Non è tutto. Mi chiedo, ma perchà© Civitavecchia, con i sacrifici ambientali ed il costo pagato in termini di salute dai suoi figli negli ultimi cinquanta anni, dovrebbe tenersi in casa un impianto che brucia combustibile fossile, secondo una scelta di retroguardia, che mortifica il protocollo di Kyoto, che alimenta, come il carbone forse più di ogni altro combustibile alimenta, l'effetto serra? E se Civitavecchia diventasse, invece, un laboratorio per sperimentare l'uso di tecnologie alternative? C'è una cittadina di ottantamila abitanti in Gran Bretagna che per le sue necessità non impiega neppure un kw di energia prodotta da combustibili fossili. Un modello che bisognerà imitare se vogliamo che il Pianeta sopravviva.
Ci vuole coraggio, fantasia ed immaginazione e sicuramente non servono rapporti obliqui e impropri con l'Ente elettrico. Perchà© non dovremmo esserne capaci? C'è una precondizione: lasciamo da parte le appartenenze o peggio le casacche. Niente squadre, ma un obbiettivo comune e condiviso di una intera classe dirigente e per tale, caro Gismondi, intendo Lei e quanti come Lei nella società cittadina hanno un ruolo non soltanto di guida, ma anche soltanto di portatori e moltiplicatori di idee, in grado di assumersi responsabilità . Politici, imprenditori, professionisti, libere Associazioni, del mondo del lavoro e non, è questo, pur nelle diversità che sono preziose quando non scadono in faziosità , il tessuto connettivo i cui una comunità ha bisogno.
Infine sui lusinghieri bilanci della Cassa. Sì ne siamo orgogliosi, tanto più che non dipendono da malintese rendite di posizione, ma da un processo rigoroso di razionalizzazione e di ammodernamento dell'azienda, il cui merito in larga parte va ascritto allo spirito di sacrificio e alla professionalità del personale. Nel 2007 compiremo 160 anni, dopo aver attraversato tre secoli. L'auspicio è quello di celebrare l'avvenimento in una città più moderna, che si appresta ad avviare a soluzione molti dei sui tanti problemi, che sia in grado di trasmettere ai sui figli fiducia e speranza.
Ezio Calderai
Presidente Cariciv


