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    Cronaca
    3 Agosto 2015
    Mafia Capitale, da Buzzi accuse al vertice della Regione

    ROMA- Quaranta ore di interrogatorio per spiegare “il sistema”. Salvatore Buzzi ne parla con i pm che indagano su Mafia Capitale e la sua collaborazione con la giustizia passa per «le magagne» della Regione Lazio, per quelle della Provincia e del Comune. O almeno questa è la “sua” verità che racconta, perché davanti ad accuse di spartizioni e mazzette, le persone che ha tirato in ballo sono tutte insorte con indignazione, a cominciare dal governatore Nicola Zingaretti, per finire allo stesso Luca Odevaine, in carcere da mesi, e a Maurizio Venafro, che del governatore del Lazio è stato il capo di gabinetto. «Ora chi è accusato, accusa dal carcere. Io penso che nel nostro ordinamento l’accusato abbia il diritto di mentire sulle proprie responsabilità ma non di calunniare terzi. Buzzi ne risponderà di fronte alla giustizia. Ho conferito mandato ai miei legali di querelarlo per sue dichiarazioni». Così in questi giorni smentisce il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, intervenendo in Consiglio regionale sulle ultime vicende legate a Mafia Capitale. «Ho ritenuto doveroso questa mattina essere qui, anche prima della richiesta venuta da alcuni consiglieri, per commentare e riferire in merito a indiscrezioni su deposizioni spontanee date dal signor Salvatore Buzzi in alcuni interrogatori nelle ultime settimane. Si tratta ripeto di indiscrezioni di stampa perchè di altro materiale che dovrebbe, io credo, essere ancora coperto dal segreto istruttorio, non ho potuto prendere visione». Il presidente Zingaretti si difende categoricamente alle dichiarazioni di Buzzi che – secondo un’esclusiva de La7 – ai magistrati avrebbe detto che «Odevaine mi ha riferito che per la vendita del Palazzo della Provincia di Roma presero i soldi il capo di gabinetto Maurizio Venafro, il segretario generale Calicchia e l’imprenditore Cionci, per Zingaretti» L’ex ras delle cooperative parla ai pm, ma insiste nel volersi mostrare come una vittima, costretta a pagare per lavorare. Tanto che al pm Paolo Ielo dice: «Non ci crederà, dottore, noi il Pd non l’avevamo mai pagato in quella maniera. Abbiamo sempre contribuito alle campagne elettorali con piacere, alle europee, con Bettini e Gasbarra in lotta, per non sbagliare abbiamo finanziato tutti e due. Ma essere affrontati così in Consiglio comunale non ci era mai capitato». Altrettanto l’indagato racconta di aver fatto con la campagna elettorale del sindaco Marino: «Facemmo un bonifico, anche se il futuro sindaco nemmeno lo conoscevamo».