Raccolta automatica, un flop
Energia e ambiente
20 Maggio 2016
Raccolta automatica, un flop

Niente cassonetti, tantomeno cumuli di spazzatura o cattivi odori. Nessun camion della raccolta in circolazione. I rifiuti urbani viaggiano sotto terra, come l’acqua, fino a una centrale di raccolta. Un sistema ecosostenibile e per niente futuristico, anzi. Da anni centinaia di realtà in Europa sfruttano questa soluzione mentre l’Italia resta al palo. Un problema di finanziamento e anche culturale, spiegano gli operatori italiani.
Ecco come funziona. Il sistema, definito ‘automatico’ o ‘pneumatico’, «si divide in tre parti, la prima è quella delle colonnine o chiusini dove gli utenti conferiscono i rifiuti – spiega Maximiliano Mutti, Country Manager per l’Italia e la Francia di Envac, azienda pioniera del settore – Due i tipi di soluzione: esterna, colonnine in strada, e all’interno degli edifici, solo su edifici di nuova costruzione. Le colonnine sono ‘battezzate’, ognuna raccoglie una frazione diversa. Una volta buttati, i rifiuti rimangono stoccati nella parte verticale sotto la colonnina».
La seconda fase dell’impianto è costituita dai «tubi orizzontali che uniscono tutte le colonnine alla centrale di raccolta”, prosegue il responsabile per l’Italia del gruppo svedese.
Successivamente, a separare le diverse frazioni è l’attivazione della raccolta in tempi diversi. Ovvero: «La centrale in modo automatico, o per orario o perché le colonnine sono piene, si mette in funzione da sola: crea un flusso d’aria dalla periferia del sistema in direzione della centrale, succhia, aspira. Raggiunta una certa velocità, 70km/h, apre in sequenza le varie bocchette cioè i vari magazzini verticali, quindi le valvole dei rifiuti», spiega Mutti. In centrale, come detto, «entra un solo tubo e c’è un sistema, uno scambiatore, che reindirizza i rifiuti raccolti verso il contenitore dedicato alla frazione che si sta raccogliendo”. L’aria deposita i rifiuti dentro i container poi passa attraverso una sala filtri dove viene ‘ripulita’ prima di essere reimmessa nell’ambiente. “Unica pecca di questa aria è che a 65-70° quindi non può uscire ad altezza piedi. Per questo abbiamo dei camini o delle zone di uscita che non impattano sulle persone», dice il Country Manager del gruppo svedese. Insomma un sistema che promette vantaggi non da poco in termini di igiene, decoro urbano, migliore viabilità e tempi di raccolta più veloci. Oltre a ridotte emissioni di CO2, soprattutto se alimentato con energia pulita. E, infatti, in Europa si trovano centinaia di soluzioni come questa. «In Svezia 300 impianti, in Spagna 80 con la concorrenza, in Francia in 4 anni ne abbiamo fatti, con i competitor, una decina. In Italia abbiamo in funzione oggi un impianto a Milano realizzato da Envac due anni fa. Poi ci sono due gare d’appalto in Puglia», racconta Mutti. A Roma se ne contano due. Oppent, azienda che propone sistemi di automazione dei servizi e ottimizzazione dei flussi logistici nei settori Healthcare, Urban Areas e Retail, ha realizzato l’impianto dell’Eurosky Tower nella capitale e quello del Centro Servizi Donato Menichella a Frascati, in provincia di Roma. «Questa tecnologia – spiega l’ad di Oppent Alberto Beretta – si sviluppa maggiormente dove c’è una crescita nel settore residenziale: nuove aree o quartieri che vengono ristrutturati per la parte infrastrutturale. L’Italia è uno dei Paesi più in crisi per le realtà in costruzione che possano consentire la realizzazione di queste tecnologie, se ne contano sulle dita di una mano. Noi in Italia stiamo installando l’impianto Eurosky Tower a Roma, progetto dell’architetto Franco Purini e realizzato da Parsitalia Real Estate. Abbiamo vinto l’aggiudicazione di uno dei grattacieli più prestigiosi al mondo in costruzione, a Dubai, le torri Damac Paramount: uno dei complessi residenziali più esclusivi che sarà dotato di un nostro impianto». Ospedali, centri commerciali, aeroporti, cucine industriali, centri storici e nuove aree residenziali. Questo sistema è applicabile a diversi contesti eppure in Italia fatica ad affermarsi. «Tecnicamente si può estendere al territorio italiano – prosegue Mutti – C’è un problema di finanziamento: il patto di stabilità impedisce ai Comuni di fare investimenti e quindi ci taglia un po’ le gambe». Né si può sfruttare il Project Financing «perché la differenza (di costo, ndr) tra raccolta con camion e il nostro sistema non è sufficiente a ripagare l’investimento nei 10-12 anni. Ce ne vogliono 15-16». Con le due gare per Polignano a Mare e Taranto, però, «la regione Puglia ha ammesso al finanziamento da fondi europei questo tipo di impianto», spiega il Country Manager di Envac. Una strada dunque esiste ma, per l’ad di Oppent, c’è una “difficoltà culturale della pubblica amministrazione di reperire risorse che la comunità europea ha e mette a disposizione per questi interventi».