Dalla crisi un nuovo stile di vita
Energia e ambiente
15 Giugno 2016
Dalla crisi un nuovo stile di vita

«Il lavoro del futuro sarà sociale e, soprattutto, lavoreremo tutti molto meno». Paolo Ermani e Andrea Strozzi, autori di ‘Solo la crisi ci può salvare’ (Edizioni Il Punto d’Incontro), guardano alla crisi economica della nostra epoca come ad una opportunità per pensare ad un nuovo stile di vita, alternativo al modello «lavoro-guadagno-consumo» figlio di quella che definiscono la «religione della crescita». La ‘formula’ è «più autoproduzione e scambio, minori spese, minori consumi a parità di comfort, più relazioni e fare un lavoro che non danneggi l’ambiente e che abbia un senso e utilità per se stessi e gli altri».
Ermani, che da 25 anni si occupa di economie alternative, stili di vita, energie rinnovabili e risparmio energetico, e Strozzi, ex manager ‘convertito’ alla decrescita e alla bioeconomia, partono dalla crisi economica, cogliendo in essa un’opportunità di «cambiamento necessario». Da qui l’affermazione «la crisi è una benedizione». Una provocazione? No. «Esattamente come il titolo del libro, è una ragionatissima affermazione – spiegano gli autori – Siamo fermamente convinti che la crisi, o meglio, una sua rapida escalation, sia l’ascensore ideale per condurci a quel livello di conoscenza superiore dal quale potremo forse trovare le contromisure per evitare il disastro». La soluzione per Ermani e Strozzi è in una «nuova economia» risultato dell’alchimia che possono offrire quattro elementi fondamentali: agricoltura, ambiente, imprenditoria e finanza etica. «Con l’inevitabile e veloce esaurimento delle risorse determinato dal sistema impazzito della crescita e con una rinnovata consapevolezza di salvaguardia ambientale, si ritornerà al locale e si ripartirà dall’agricoltura, che ci tiene tutti in vita – spiegano – L’imprenditoria non potrà che essere principalmente locale e votata al sociale, così come la finanza non potrà che essere etica, e quindi non di rapina, e il tutto sarà al servizio della comunità ricostruita. Questi attori si sederanno intorno ad un tavolo e agiranno per il bene comune e la protezione dell’ambiente». 
In un contesto come questo il «lavoro del futuro sarà sociale e, soprattutto, lavoreremo tutti molto meno. Questo, sia per effetto della sua maggiore produttività, che per effetto di una ormai plateale saturazione di tutti i nostri bisogni, sia effettivi che fittizi – chiariscono Ermani e Strozzi – Grazie alla crisi, ci aspettiamo che la popolazione torni progressivamente a derubricare dalla propria agenda tutto ciò che non è essenziale al proprio benessere interiore, uscendo dall’ipnosi consumistica collettiva». «A meno che non si voglia lastricare di cemento anche il Mediterraneo e comprare automobili anche a cani e gatti, i settori lavorativi passeranno inevitabilmente da quello edile e automobilistico, trainanti per la crescita, ai seguenti campi: salvaguardia e ripristino ambientale, risparmio ed efficienza energetica, energie rinnovabili, risparmio idrico, agricoltura biologica, eco-turismo, cultura, recupero, riuso, riparazione, riciclo dei materiali»: è la direzione indicata dagli autori.
«In questi settori, che hanno campi di intervento vastissimi – spiegano – potremmo non solo facilmente e velocemente assorbire tutta la disoccupazione, ma si valorizzerebbero le peculiarità e le ricchezze del nostro Paese, si ridurrebbero dipendenze dall’estero, come per l’acquisto dei combustibili fossili, e si risparmierebbero montagne di soldi per lo Stato e per i privati cittadini». Ma a che punto siamo di questo tragitto verso un modello diverso? «Siamo a buon punto, dato che sempre più persone rifiutano il consumismo, rifiutano di passare la vita a fare un lavoro che odiano solo per procurarsi dei soldi, per comprare delle cose che nemmeno li rendono felici”, concludono.