daria geggi
Segue da lontano le vicende di quella terra che circa dieci anni fa ha accolto lui e sua moglie, abbracciandoli in un’esperienza particolare e profonda. Quell’Ucraina oggi dilaniata dalle bombe e ferita, dove fino a qualche mese fa i civitavecchiesi Luca e Maura Convalle, entrambi 38enni, vivevano con i loro otto figli, in attesa del nono. Nel 2013 hanno lasciato tutto, lavoro e famiglia, per trasferirsi a Kiev, terra lontana e già critica, anche prima della guerra. «Facciamo parte del cammino neocatecumenale- ha spiegato Luca – che ci ha portati alla riscoperta del nostro battesimo: dopo alcune esperienze, il Signore ci ha chiamato all’evangelizzazione». Da lì in trasferimento in missione, vivendo insieme ad altre famiglie spagnole ed ucraine, guidati da un presbitero polacco. I loro figli vanno a scuola, loro sono impegnati nella parrocchia. «Siamo arrivati come poveri, non sapevamo la lingua, avevamo bisogno di tutto – ha aggiunto – Dio ci ha accompagnati, sperimentando il perdono, aprendoci all’altro, alla vita. Abbiamo vissuto di striscio questa situazione, che i nostri confratelli ci raccontano essere drammatica. Nessuno si aspettava una cosa simile». La famiglia, genitori e figli, sono rientrati in Italia a dicembre. «Per vari motivi ed imprevisti saremmo dovuti rimanere qui fino ad agosto – ha raccontato Luca – così martedì scorso io e mia moglia abbiamo lasciato qui i nostri figlia e siamo partiti in aereo per Kiev, per rinnovare il Visto, per sistemare altri documenti e per recuperare quanto lasciato lì in vista dell’estate in Italia. Abbiamo aperto una Parola a caso, il Vangelo della tempesta sedata. E con quel “Coraggio, io sono con voi” abbiamo affrontato il viaggio. Una volta portati a termine gli impegni, abbiamo pensato di rimanere a dormire lì la notte di mercoledì, partendo riposati giovedì mattina. Ci aspettava un lungo viaggio: 2500 km di strada. Ma anche in questo caso abbiamo sentito di dover andare via. Abbiamo dormito lungo la strada, un paio d’ore in albergo, diretti a Leopoli. Poi destinazione iniziale l’Ungheria: ma a 100 metri dal bivio è arrivata la notizia dei bombardamenti, e abbiamo girato per la Polonia: ho contato ogni singolo centimetro di quegli 82 km che ci separavano dalla frontiera, dove abbiamo trovato un chilometro di fila, con gente incolonnata dalle 2 di notte. Il giorno dopo la fila era di 14 chilometri. La situazione non si sbloccava. Ho visto l’auto di un diplomatico che procedeva contromano, l’ho seguito, ma una volta arrivati ai cancelli, era ancora tutto fermo. Frontiera chiusa. Poi finalmente l’hanno aperta, per donne incinta e bambini. Il Signore è stato fedele anche in questo caso». Una vicenda, quella di Luca e Maura, segnata come ha ricordato più volte dalla “Provvidenza di Dio”. Oggi il cuore e la mente sono fissi a Kiev, dove vorrebbero tornare presto per portare aiuto e proseguire la missione. Il confronto ed il contatto con i fratelli rimasti in Ucraina è costante e quotidiano. Raccontano di una situazione critica. «Una coppia di amici è stata ospitata fuori
Kiev – spiega Luca – per fortuna hanno una mucca e quindi latte da bere, perché inizia a scarseggiare il cibo. Altri hanno viaggiato 48 ore in 15, 11 bambini e 4 adulti, in un’auto da 7 posti. Il nostro presbitero Matheus è rimasto lì, come ogni capitano di nave ci ha detto mercoledì sera quando lo abbiamo salutato. È rimasto in parrocchia e ci ha detto che il momento peggiore è quello del silenzio, perché da un momento all’altro può arrivare una bomba. In questa drammaticità Dio è comunque presente e dà conforto – ha concluso – ma questo non vuol di dire non aver paura o non provare angoscia».
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