24 ore dopo la delusione è ancora tanta. Troppa, parecchia. Un volo di ritorno di quelli che fanno male. Tanto orgoglio, senz’altro, un sentimento però condiviso a quel dolore calcistico che inevitabilmente prevale, quando volevi riportare una coppa al popolo giallorosso ma ti imbarchi a Budapest senza esserci riuscito. Musi lunghi, volti provati. Una gara destinata senz’altro alla conquista dell’Europa League, trofeo estremamente prestigioso, ma al tempo stesso un match che avrebbe deciso i destini della prossima stagione. Non sarà Champions League, non sarà quel passo successivo, previsto e desiderato al terzo anno di progetto Mourinho. Era la direzione forzata del finale di stagione giallorosso: puntando tutto sul giovedì, chiaramente a Budapest diventava tutto o niente. Adesso i giallorossi saranno costretti a riconquistarsi minimo l’Europa League per evitare addirittura il ritorno in Conference all’ultimo sforzo, mentalmente pesantissimo, del campionato: domenica sera all’Olimpico arriva lo Spezia, che giocherà a distanza col Verona quel testa a testa salvezza che ne palesa necessità, fame e caccia di punti in classifica per mantenere la categoria. Non sarà gara agevole, tutt’altro. Ma a tener banco in casa giallorossa, mediaticamente non potrebbe esser altrimenti, resta il futuro di chi ha rappresentato evidentemente la figura più importante in questo biennio di cavalcate europee, il condottiero, José Mourinho. Che secondo alcune voci di corridoio avrebbe voluto vincere per poi, stile Inter del triplete, andarsene, avendo spremuto al massimo tutte quelle energie strappate al gruppo giallorosso. La finale, come noto, non è andata così. E quella delusione che si sente addosso fa sì che gli sia immediatamente scattato qualcosa che non gli permette, dentro di sé, di andar via. Di non lasciare con queste lacrime un gruppo di calciatori che ha dato tutto, ma proprio tutto, a lui soprattutto. Quello che evidentemente aveva suggerito ai due capitani prima della finale, Lorenzo Pellegrini e Gianluca Mancini. «Sono un uomo serio – ha spiegato Mou nel post gara di Budapest – ho parlato qualche mese fa con la società. Ho sempre detto che sarebbero stati i primi a saper se mi dovesse pervenir qualche offerta, come successo a dicembre col Portogallo. Adesso l’ultima gara, poi lunedì andrò in vacanza. Se riusciremo a parlar prima di domenica bene, altrimenti per me dopo sarà solo vacanza. Io mi sento in dovere di lottar per questi ragazzi e per esser onesto nei loro confronti devo dire di non esser sicuro che resterò. Voglio rimanere però i miei calciatori meritano di più. Ed anche io merito di più. Voglio lottare per obiettivi più importanti. Sono pure stanco di far al tempo stesso l’allenatore, l’uomo della comunicazione, di rappresentare il volto che protegge gli interessi del club. Ma voglio rimanere, a patto di aver condizioni per dare di più. Può sembrare paradossale ma il fatto che il prossimo anno non giocheremo la Champions è una buona notizia perchè non siamo ancora una squadra appartenente a quel livello. Dobbiamo vincere domenica per giocare l’Europa League e vogliamo tornare a competizioni europee». Da queste riflessioni si evincono diversi aspetti. Il primo è che l’entusiasmo di Mourinho verso i Friedkin sia cambiato. Dopo Tirana sosteneva di voler restare con un sorriso a 32 denti. Parlava di gente e proprietari straordinari. Adesso è diverso. Qualcosina sembra esser diversa. S’aspettava, dopo la chiamata respinta del suo Portogallo a dicembre, più confronto col club, in questo caso con la famiglia Friedkin, Dan e Ryan. Anche in sede di mercato, non è mancata qualche divergenza di vedute col direttore Pinto, in quel di gennaio. Negli ultimi mesi invece, quelli primaverile, si sente d’esser stato evidentemente lasciato solo a difendere gli interessi del club contro presunti errori arbitrali affrontati in campionato. Ma com’è noto, la forza dei Friedkin è sempre stata quella di parlar poco, lasciar parlare i fatti. Ed ora è proprio quegli stessi fatti che aspetta José, per capire effettivamente, anche e soprattutto in virtù del fallimento della missione Champions al terzo anno di progetto, quali siano le concrete ambizioni della loro terza Roma. Vuole e pretende rinforzi. Deve comprenderne ambizioni. Serve un confronto. Confronto che, come trapela dalle sue riflessioni, avrebbe desiderato più volte anche nei mesi primaverili, nient’altro più di ciò che avrebbe richiesto. Invece, sempre restando fedeli alle parole dello Special One, sembra non esserci mai stato. E allora come spesso accade nelle grandi famiglie: distanze e silenzi. Naturali, possono succedere. E se Mou vuol restare, c’è altresì da comprendere le intenzioni di una proprietà che, storicamente, ha abituato tutti ad agire in silenzio. Proprio come quando dal nulla, ormai due anni fa, annunciò proprio lo Special One. Una cosa è certa: serve ed urge confronto, servono meeting. Il popolo giallorosso, dopo la delusione di Budapest, ha bisogno di certezze, quelle da cui ripartire. Nelle prossime settimane le verità decisive.

