Guasto d’amore. Una canzone, un titolo. Che vale stavolta tremendamente quel doppio volto della medaglia necessaria per descrivere l’ultimo posticipo dell’infrasettimanale settembrino. Guasto d’amore come le dolci note che canta un Marassi in tripudio dopo il 4-1 del Genoa alla Roma, un guasto d’amore come quello delle migliaia dei sostenitori giallorossi mai domi e sempre al seguito del club, traditi dall’ennesima prestazione deludente, scottante, completamente sterile della Roma mourinhana. José affonda ancora, stavolta trafitto dai colpi di un Grifone a tratti esaltante, galvanizzato dalle giocate di uno dei trequartisti nordici più interessanti del nostro panorama, quel Gudmundsson che da vera scheggia impazzita ha tramortito per 95 minuti difensori e centrocampisti romanisti. Ha spaccato la partita, l’ha fatto persino dopo 5 giri di lancette, quando ha tagliato retroguardia avversaria e Rui Patricio. Nemmeno l’iniziativa del solito Spinazzola per l’inserimento dell’altrettanto solito Cristante riequilibra le sorti: un pari che dura poco, perchè la gara narra un Genoa sempre primissimo su ogni seconda palla. E allora garra sudamericana, idee chiare e sviluppo perfetto, come quello che porta al raddoppio e definitivo sorpasso targato Retegui che a fine primo tempo, incollando di prima intenzione di destro al volo, spedisce in paradiso la gradinata Nord. Nella ripresa Mou prova a cambiare l’ordine degli addendi ma come narrerebbe l’aritmetica il risultato non cambia. Lenta, compassata, prevedbile, tremendamente sterile. Troppi difensori e sistema comunque vulnerabile, stessi autolesionistici problemi degli ultimi disastrosi mourinhani in Premier. Lukaku non timbra, Dybala non incide, il Genoa allora digerisce e, caricato dalla spinta di un Marassi gremito attende e colpisce: prima Thorsby su corner spiana la strada, poi chiude Messias. 4-1 netto e notte fonda. Al triplice fischio allenatore e squadra sotto un settore ospiti, quello giallorosso, tremendamente arrabbiato. Dopo i punti persi a Torino serviva vincere. Dopo un agosto disastroso serviva sterzare. Niente di tutto ciò: nei due terzi del triangolo industriale ottocentesco soltanto un misero punto su sei, Roma sull’orlo del precipizio.


