Non c’era miglior modo possibile che festeggiare la propria 400° panchina in Premier con una vittoria in uno dei derby più sentiti di Londra. E storia nella storia, parliamo di Mauricio Pochettino. Il miglior allenatore della storia degli ultimi decenni del Tottenham, silurato per Mourinho, qualcuno che sognava un ritorno mai accontentato, a cui nonostante disastri portoghese e veleno Conte, quando gli astri sembravano potessero riabbracciarsi, il presidente degli Spurs, Daniel Levy, ha compiuto l’ennesima scelta senza senso della sua pluridecennale gestione tecnica scellerata. E per tutta risposta, voltando le spalle al suo passato, Poch ha scelto una delle peggiori rivali: il Chelsea. Dopo un anno complicatissimo, tra contestazioni nei confronti di una squadra giovanissima, a tratti tremendamente viziata, sta chiudendo il campionato in maniera più che dignitosa, salvando la posizione. D’altronde si sa, i risultati con Pochettino arrivano nel tempo. E nella notte più attesa dai tifosi Blues, quella contro i loro acerrimi rivali, stavolta non sbaglia. Fa sfogare gli Spurs e li colpisce, quando necessario. Postecoglou a picco: utopia calcistica, difesa a 60 metri, fluidificanti trequartisti, ali guardalinee e cambi completamente sbagliati, tanto per cambiare. 18 gol su 54 incassati su palle inattive, e continua a sostener quanto e come non sia questo l’aspetto più determinante. Mai alcun piano B. La stagione degli Spurs, nata bene, finisce mestamente. Un gol per tempo, il primo su palla inattiva (tanto per cambiare, ndr) firmato Chalobah, il secondo con Nico Jackson su tap-in post ennesima meraviglia su punizione di Palmer. Ecco perché Stamford Bridge, teatro di mille battaglie quando Poch navigava dall’altra parte del Tamigi, si gode forse la notte più bella della sua mesta annata, cercando di dimenticare la doppia amarezza di Wembley, tra Carabao ed FA Cup. Il Chelsea risale e punta almeno alla Conference, traguardo senz’altro lontanissimo da latitudini storiche del club ma, dopo due annate così, dolorosa transizione dall’era Abramovich a quella Clearlake, è quel che francamente passa al convento. Quantomeno, la stagione dei Blues si chiude con una piccola grande gioia consegnata ai loro sostenitori. E non è cosa da poco, per ricostruir un rapporto tra squadra e tifoseria minato nel tempo. Dall’altra crisi profonda. Sembra quasi ci si sia svegliati da un sogno, diventato utopia. Il Tottenham abbandona ogni ambizione Champions e resta lì, quinta, nella terra di nessuno. Un risultato decisamente accettabile per le premesse di inizio stagione, tra partenza Kane, gioventù e ricostruzione, ma per sviluppo dell’annata finale decisamente sconfortante. Perché un’idea di calcio a tratti così kamikaze lascia spazio a ben poche speranze future. Soprattutto dopo l’ennesimo derby perso, quattro giorni dopo l’Arsenal: soprattutto, proprio in tal senso, tra spettri e fantasmi di poter esser costretti nel giro di poche settimane a veder trionfare l’erba del vicino, decisamente di questi tempi sempre più verde.

