logo
    Sport
    8 Maggio 2024
    La notte dei Principi, sì, ma quelli di Dortmund: così a Parigi le divinità calcistiche sussurrarono BVB

    Abbiamo la rivelazione assoluta dell’edizione 23/24 della Uefa Champions League. Il Borussia Dortmund. Chiaramente realtà, ma francamente impronosticabile a questi livelli, a queste vette. Il BVB è di nuovo finalista di Champions, andrà a Wembley, sempre Wembley, 11 stagioni dopo l’ultima volta, quel ciclo indimenticabile, quello Klopp, a cui però mancò la ciliegina sulla torta: vinse il Bayern dei Ribery e Robben, che sotto l’arco ottenne la rivincita di finali precedenti, Bayern stesso che stasera si giocherà la possibilità di ricostruire la stessa finalissima, storia nella storia, dell’edizione 2013. Andiamo per gradi. Il BVB è realtà. Lo scorso anno sfiorò una Bundes all’ultima giornata, sconfitta interna cocente a spegnere ogni festeggiamento, ogni sogno di gloria, quello di spodestare un’egemonia bavarese che sarebbe invece saltata l’anno dopo, chiedete a Leverkusen. Ma la grandezza di un cocktail perfetto, tra splendida gioventù, la voglia di riscatto di Sancho, sostanza di calciatori internazionali come Can o Sabitzer, l’esperienza e la leadership di Hummels e Reus, la qualità e la definitiva consacrazione di Julian Brandt, uno dei trequartisti più sottovalutati d’Europa, hanno permesso di scrivere in primavera 2024 pagine un anno fa soltanto impensabili, indipendentemente da come andrà a finire. Stavolta le lacrime dell’architetto Terzic, tifoso e abbonato al Muro Giallo nel lontano 2012, tornano ad esser quelle di gioia. Il BVB, uscito trionfante dal girone infernale con PSG, Milan e Newcastle, è arrivato fino a Wembley, ancora una volta. E ancora una volta lo fa sovvertendo ogni pronostico, resistendo, annientando ogni discorso remuntada parigina, andando a vincere pure a Parigi. Il PSG, dopo la rimonta di Barcellona, è fuori dalla Champions. Ancora una volta, stavolta in semifinale. E se per tanti sembravano spalancate le loro porte verso la finale, così non è stato. Niente sfida interstellar per Mbappè, niente finalissima col suo Madrid del futuro. Finisce senza il grande obiettivo la sua pluriennale era parigina. Ed è la fine di un’era da cui Luis Enrique dovrà ricostruire. A spirare Dortmund a dir la verità stavolta qualcosina hanno sussurrato le divinità calcistiche e la loro dea bendata, perché dopo l’imperioso stacco di Hummels dall’alto delle sue eterne 35 primavere, il PSG ha colpito ben 4 legni, tra botte di Nuno Mendes e Vitinha. Stavolta senza Muro Giallo ad alzare muraglia hanno ben pensato i calciatori gialloneri, muraglia che Mbappé e Dembelè non hanno saputo buttar giù. Prova di resistenza e completezza, prova di maturità, a questi livelli. Alla fine, comunque, c’è stato sport: Luis Enrique ha accettato il verdetto del campo, sei legni tra andata e ritorno, con la sua consueta signorilità. Tutto questo davanti agli occhi di Orsato, istituzione della classe arbitrale italiana, all’ultimo fischietto in Champions dopo ben 58 presenze: al triplice fischio, l’ultimo europeo, non è riuscito nemmeno lui a trattenere l’emozione.