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    9 Maggio 2024
    Joselu che non t’aspetti, Bernabeu e remuntade, Tuchel errori e veleni: così sotto l’arco andò Ancelotti, per la quindicesima

    Bernabeu. Semifinali. Champions League. Quando abbracci questi concetti o sostantivi all’alba del giorno dopo tematiche, narrazioni, cronache, spunti, riflessioni e descrizioni dominano contesti giornalistici e prime pagine dello sport internazionale, non potrebbe esser altrimenti. Ha vinto il Real Madrid. Ancora una volta ribaltando tutto all’ultimo respiro, grazie alla spinta del solenne Bernabeu che come sempre, nel momento decisivo, sa risucchiare il pallone come pochi posti al mondo, forse solo come Anfield. Madrid Time. E così è stato, ancora. Dopo il 2-2 dell’andata come noto al Bernabeu è finita 2-1 per il Madrid, con la rimonta in pieno recupero, stile Man City di due anni fa, firmata Joselu, bomber di scorta e tifoso madridista da sempre, l’unico centravanti puro all’interno di una rosa calibrata e costruita da Carlo e Florentino appositamente senza prime punte. E quando sei sotto, quando serve fisicità, quando serve qualcuno a raccogliere spiovente e metter pressione a linea e ultimi metri avversari, comunque resta qualcuno che si far trovar pronto, anche a 34 anni: quella maglia, d’altronde, non è per tutti. Bella storia, per uno che soli due anni fa era a Parigi col papà a sostenere i Blancos semplicemente da normal tifoso. Oggigiorno, quantomeno sul tabellino dei marcatori, è lui che riporta il Real in finale. Sono gli anni di City e Real: solo i sogni del Borussia Dortmund adesso dividono la Camiseta Blanca dalla quindicesima coppa dei campioni di una storia che parla del club più importante, vincente e blasonato al mondo. Due anni fa Madrid, scorso anno dominio e calcio planetario Manchester City, quest’anno ancora Real? E sembra quasi, nelle storie dei destini che solo Champions sa regalare, che per vincerla una abbia sempre bisogno in qualche modo di battere l’altra: quest’anno lo scherzo del sorteggio ha posto ai quarti una finale anticipata, vinta da letture e muro all’italiana di un Carlo spinto dalla dea bendata ai rigori dell’Etihad. E anche ieri la dea stessa ha sussurrato Madrid quando il Bayern assaporava il colpo grosso: Un Bayern alla fine, nonostante Harry Kane (evidentemente stregato, ancora senza trofei di club, per il valoroso attaccante britannico, 9.5 migliore al mondo e pasta di classe pura mostrata pure al Bernabeu), di una stagione travagliata, complicatissima, mal gestita dalla parentesi più sfortunata della carriera di Tuchel: titolo al Leverkusen, spogliatoio polveriera. Ed in qualche modo se ti chiami Bayern riesci ad andare avanti in Champions contro Lazio e Arsenal, ma Madrid era il grande scoglio. Che Tuchel ha interpretato con semplice ordine e difensivismo. Per un suo Bayern ben lontano parente del blasone tecnico di anni fa, un Bayern a blocchi bassi, un Bayern di gregari tra Dier, Laimer e Mazraoui. Espressione e idee sostanzialmente assenti. Ha sofferto un’ora, colpendo con Davies. Ma nel finale esagera: toglie tutti i batteristi offensivi, sia le ali come mezza punta Musiala o bomber Kane, mette dentro tre centrali e tre terzini, non sapendo quanto e come per l’appunto Bernabeu possa risucchiare la sfera. E a tradire diventa il migliore in campo: il Real ti stringe, ti stritola, insiste e proprio Neuer compie sul più bello una mezza saponetta all’ennesimo tentativo di un Vinicius mai domo. Prima il pari, poi il sorpasso. Tuchel se l’è cercata. Kane non si toglie mai. E nel finale, comunque, il caso: lancio lungo, bandierina subito alzata, De Ligt colpisce a rete ma Var che non può più intervenire. Proteste furenti Bayern che proseguiranno a fine gara, rievocando stessi strascichi e veleni di una semi stessa dei tempi di Cristiano e Marcelo, come denuncerà Muller in zona mista. Episodio direzione Madrid. Un neo. E non è il primo spinoso caso misterioso delle ultime edizione. Fortuna che comunque premia audaci e storia: sotto l’arco di Wembley stavolta va il Real, nessuna riedizione o rivincita del derby tedesco 2012/13. Va Carlo che dall’alto delle sue duecento e passa panchine si gode la festa, intona e canta l’inno, bissa le celebrazioni di sabato per la 36° Liga e inizia a preparare il suo pane quotidiano: le finali di Champions. Sarà la sua sesta. Ne ha persa solo una, amarissima Instanbul. Per l’ultima di Modric, forse non l’ultima di Kroos. Sicuramente l’ultima per Nacho. Un Real in transizione, guidata dagli ultimi veterani del vecchio ciclo, ma già pronta per una squadra di fenomeni generazionali destinati a dominare le vette del Vecchio Continente per il prossimo quinquennio. Aspettando Mbappé, può arrivare la quindicesima: sogni Dortmund, ma Madrid chiaramente strafavorito.