di Diego Galli
VITERBO – Abbiamo intervistato l’imprenditore Sergio Saggini, vicino al termine del suo mandato come Presidente di Unindustria Viterbo, per parlare degli obiettivi affrontati in questi anni, delle sfide che il territorio sta affrontando e di quelle che invece i viterbesi dovranno affrontare nel prossimo futuro. Un’intervista a tutto tondo che rappresenta anche un bilancio sull’economia viterbese e, in particolare, del suo centro storico.
Può parlarci di questo 2024? Siamo ormai sempre più vicini alla fine dell’anno e si è parlato molto di economia, generalmente la percezione è negativa, con disoccupazione ed “entrate” a ribasso.
Rispetto al biennio 2022/2023, dove si erano registrati dei valori buonissimi dati al rimbalzo post Covid, il 2024 si sta rivelando più difficoltoso. C’è però da dire che ci sono dei problemi di carattere nazionale importanti, come l’inflazione che continua a cresce ed anche vero che a livello europeo l’Italia è tutt’ora tra i Paesi con l’economia più in salute. I tassi hanno iniziato la discesa e si prevedono altri tagli. Guardiamo al futuro con fiducia ma saranno necessarie delle scelte politiche. Scelte capaci di dare respiro, come per esempio lo sono stati i Bonus edilizi che si sono susseguiti negli anni, in grado di dare una spinta all’economia. Anche a livello locale, per esempio, il settore edilizio ha contribuito fortemente alla crescita della Tuscia. Insieme alla ceramica, all’agricoltura, al tessile e al turismo, l’edilizia è uno dei pilastri della nostra economia. Se anche uno solo di questi asset soffre, tutta l’economia locale ne risente.
Il presidente della Camera di Commercio, Merlani, a inizio anno ha parlato di “fuga dei giovani” dalla Tuscia per mancanza di opportunità. Cosa ne pensa di questo fenomeno?
Questo è il principale problema del nostro territorio. Riuscire a convincere i giovani a restare e allo stesso tempo cercare di attirare nuove famiglie da fuori la Tuscia, credo sia il grande obiettivo che tutti dovremmo porci. Viterbo, così come il resto del territorio, possono essere un luogo di enorme attrattiva, in particole oggi, con lo smartworking che offre sempre più possibilità lavorative. Viterbo è una città letteralmente a misura d’uomo, dove il costo della vita è molto contenuto rispetto alle metropoli.
La qualità dell’aria, per esempio, è la migliore in Italia. Sicuramente chi abita in grandi città come Milano, Roma o Torino ha a disposizione più servizi e offerte culturali, ma il nostro è il territorio dove si vive bene. Anche chi è genitore deve cercare di cambiare mentalità perché spesso è il primo a spronare i figli ad andarsene altrove. La città deve ovviamente crescere in servizi ed offerte per essere più attrattiva
Anche la natalità è uno dei grandi problemi della Tuscia, vero?
Assolutamente sì. Il nostro territorio, purtroppo, ha un tasso di natalità pari al 5.7 per 1000 abitanti che è una cifra inferiore agli indici del Lazio e dell’Italia. Questo è un problema grande, ma per affrontarlo servono politiche nazionali coraggiose che devono affrontare il tema della maternità in maniera molto differente da come lo si sta facendo ora.
Anche a causa di politiche non certo lungimiranti, la donna è spesso penalizzata: è di qualche giorno fa, per esempio, il dato secondo cui, sul lavoro, le donne laureata guadagno il 57% in meno dei colleghi maschi. Servono scelte coraggiose, migliorando il sistema di “supporto” alla gravidanza: si potrebbe pensare – e in parte qualche timida proposta c’è stata – a sgravi fiscali, a politiche abitative che premino le giovani coppie, ad un’edilizia scolastica che preveda più asili nido, ad estendere anche alla paternità lo stesso regime giuridico della maternità. Così facendo si potrebbe forse assistere nel medio periodo a un incremento delle natalità e a una parificazione della donna come lavoratrice.
Entriamo ora nel cuore dell’economia locale: il centro storico di Viterbo. Un luogo che continua a spopolarsi e che non sembra più attrattivo come lo era un tempo. Qual è il problema e come si potrebbe affrontare?
Dobbiamo innanzitutto fare una premessa: un centro vivo è un centro popolato di residenti. Si tratta di un fattore imprescindibile che esula dal turismo. Si tratta di un problema che tutti i centri storici stanno vivendo, escludendo qualche grande metropoli come Torino. Ci sono tanti fattori che hanno causato ciò, ne segnalo uno: da almeno 20 anni le amministrazioni hanno continuato a spostare fuori dal centro gli uffici pubblici seguiti da quelli privati. Questo ha portato a uno spopolamento graduale ma inesorabile. Prima eravamo “obbligati” a vivere il centro e questo permetteva a molte attività di restare aperte e fare ottimi incassi. Ora non ci si va quasi mai.
Un altro problema è invece dato sicuramente dall’assenza di parcheggi. Per tornare a vivere il centro storico servono parcheggi adiacenti alla propria dimora, non si può contare su un solo grande parcheggio, come quello del Sacrario. Si potrebbe, allora, pensare a dei parcheggi interrati. Tempo fa era nata l’idea condivisibile di un parcheggio interrato a Piazza della Rocca. Si tratta di opere difficile da realizzare, me ne rendo conto, e una strada da perseguire potrebbe essere quella dell’intervento dei privati nella costruzione (il cosiddetto project financing) a cui andrebbero parte degli utili). Si potrebbe pensare anche ad opere più piccole (un parcheggio a piazza Fontana Grande). Ma se vogliamo far rivivere il centro, non ci sono moltissime altre soluzioni. La vita in centro deve essere comoda. E poi c’è un altro problema che, secondo me, è spesso sottovalutato quando si parla di centro storico.
Di cosa si tratta?
Il degrado di alcune abitazioni che è dato prevalentemente dalle scelte fatte dai proprietari delle case che hanno fatto poco o nulla per ristrutturarle. Ci sono stati anche strumenti normativi che non sono stati utilizzati, così come non sono state utilizzate tante misure che erano validissime per le abitazioni del centro storico. Ovviamente questo discorso non vale per tutte le case, dove ci sono case davvero di pregio, case di cui i proprietari hanno avuto cura.
Riqualificare il centro storico può portare, invece, all’arrivo di investimenti da parte di persone non residenti nel Viterbese, penso per esempio ai pensionati romani abbienti, generalmente interessati ad acquistare proprietà di pregio in luoghi artisticamente attraenti come la nostra città. C’è da dire, certo, che questa visione si scontra spesso con il fattore dato dal frazionamento eccessivo delle proprietà. Accade spesso che in una palazzina ci sono molti proprietari con esigenze e prospettive differenti.
Parliamo ora di infrastrutture. Da sempre Viterbo è considerata una città “a metà” per l’assenza di collegamenti efficaci, che potrebbero anch’essi rinvigorire l’economia locale e fornire servizi fondamentali per i viterbesi.
Verissimo, ma qualcosa timidamente si muove: siamo un po’ più vicini al completamente della Orte-Civitavecchia, che sarà un tassello fondamentale per l’economia della nostra provincia. Di certo sarebbe auspicabile la risoluzione della questione Cassia, da tempo dibattuta, ma un altro tassello imprescindibile resta la mobilità su ferro.
Il vero salto di qualità, che, come detto, è quello di portare residenti da Roma a Viterbo, potrebbe darlo solo il treno in quanto di molto più economico rispetto a una macchina. Come Unindustria ci siamo battuti in molti modi per la fermata dell’Alta velocità a Orte, raggiunta grazie una comunione di intenti tra politica e territori. Proprio su questo fronte la nostra Sezione Infrastrutture sta preparando un approfondimento volto all’efficientamento della Viterbo-Roma. Un impegno nato per far fronte all’attesa di molti anni che ci separa dal molto atteso raddoppio della ferrovia, che non arriverà a breve. Dal documento è emerso che l’unica soluzione al momento percorribile, per raggiungere tempi accettabili di percorrenza verso il centro della Capitale, è l’interscambio gomma-treno. L’ipotesi è quella di un treno (meglio, di alcune corse al mattino e altre al pomeriggio, in concomitanza con l’entrata e l’uscita dagli uffici pubblici) sostenuto anche con l’intervento pubblico, un po’ come avviene per la fermata dell’Alta Velocità ad Orte, e da un biglietto unico, molto economico e perfettamente integrato. In un’ora e 15 minuti si potrebbe raggiungere la stazione Tiburtina partendo con un pullman da Viterbo per poi scambiare con il treno a Orte. Si tratta di una soluzione in grado di garantire un viaggio sostenibile al di sotto dell’ora e 20 minuti. È un progetto che stiamo già portando avanti e che ci impegniamo a non abbandonare.
Il suo mandato è al termine, ci vuol parlare degli obiettivi raggiunti che hanno caratterizzato questo suo periodo come presidente di Unindustria Viterbo?
Unindustria si è sempre più affermata come soggetto autorevole e credibile nella rappresentanza degli interessi delle imprese e del territorio. Siamo un’Associazione di riferimento per la Tuscia, anche grazie al nostro perimetro regionale. E ciò lo dimostrano anche i dati, visto che siamo cresciuti per numero di aziende associate. Siamo sempre molto vicini ai nostri associati (penso per esempio ai tanti corsi di formazione organizzati) e abbiamo sostenuto l’impresa con incontri, progetti e studi di vario tipo
In questi anni abbiamo affrontato l’emergenza Covid, dalla quale possiamo affermare di esserne usciti a testa alta grazie a una ripresa economica importante che ha caratterizzato non solo il nostro territorio ma tutta l’Italia. Giusto quatto anni fa, in piena pandemia, abbiamo inaugurato la nuova sede di Viterbo che è presto diventata un vero e proprio fiore all’occhiello della città: l’abbiamo messa a disposizione del territorio ed oggi è richiesta da moltissime associazioni per event, convegni, incontri, cosa che sottolinea la disponibilità dell’imprenditoria di fornire supporto concreto alla città.
Un’ultima domanda: un commento sull’operato dell’attuale amministrazione guidata da Chiara Frontini.
Dobbiamo partire da un presupposto: la democrazia si esercita dentro la cabina elettorale. Si esprime il parere lì dentro, riponendo la fiducia in una persona, e poi si tirano le somme solo al termine del mandato. Un giudizio a metà mandato vale poco, solo alla fine dei cinque anni si potrà giudicare.