Pm verso richiesta di giudizio. Lui: “piena fiducia nei giudici”
MACERATA – Contraffazione di opere d’arte, riciclaggio derivante dal tentativo di nascondere la provenienza delittuosa del bene e autoriciclaggio. Da quanto riportato dall’agenzia ANSA, sono queste le accuse legate al caso del dipinto del Seicento senese, di Rutilio Manetti, con un rischio di condanna fino a 12 anni di carcere, contestate al critico d’arte ed ex sottosegretario Vittorio Sgarbi nell’avviso di chiusura indagini che la Procura di Macerata gli ha fatto recapitare; un atto che testimonia la volontà dei pm, competenti in quanto Sgarbi dichiara il domicilio a San Severino Marche di cui fu sindaco, di chiederne un rinvio a giudizio.
Al centro della vicenda la tela di grandi dimensioni, “La Cattura di San Pietro”, secondo l’accusa rubata nel castello di Buriasco (Torino) nel febbraio 2013, e riapparsa nel 2021 (in riproduzione 3D), come inedito di Manetti e di proprietà di Sgarbi, a Lucca nella mostra “I pittori della luce”, da lui curata.Le indagini partirono dopo un’inchiesta giornalistica del Fatto Quotidiano e di Report. Il dipinto di Manetti venne poi sequestrato, così come la copia in 3D, dai carabinieri nel gennaio scorso, nel corso di alcune perquisizioni durante le quali Sgarbi lo consegnò spontaneamente. Gli inquirenti hanno sottoposto la tela ad un esperto dell’Istituto Centrale per il Restauro (Icr) e, come conferma la Procura di Macerata, dal confronto con i materiali di un frammento del quadro rubato, i dipinti coinciderebbero.
A carico di Sgarbi pesano anche le dichiarazioni del pittore reggiano Pasquale Frongia, riferisce la Procura, che ha ammesso nell’interrogatorio ai carabinieri di avere, su incarico di Sgarbi, realizzato sul dipinto la torcia che prima non c’era. Dopo l’avviso di chiusura indagini, Sgarbi potrà chiedere di essere sentito, presentare memorie, controperizie difensive.Il dipinto, sostiene l’accusa, “coincide per materiali, tecnica esecutiva e morfologia del degrado con i frammenti consegnati dal denunciante del furto”. Il consulente ha ravvisato anche la “correlazione dello schema di assemblaggio delle pezze di tela su cui è stato realizzato il dipinto, con i frammenti sulla cornice, la perfetta sovrapponibilità dei bordi della tela con quelli ancora presenti sul telaio”. Quanto alla torcia e al chiarore intorno, vengono ricondotti all’uso di “pigmenti di produzione industriale” e dunque non originari nel quadro.
Il critico d’arte ha sempre respinto ogni addebito, affermando che la torcia nel quadro vi sarebbe sempre stata e che quello rubato sarebbe una “brutta copia”. Dice di aver rinvenuto il Manetti a Villa Maidalchina di Viterbo acquistata dalla fondazione Cavallini-Sgarbi nel 2000.
“I miei difensori, gli avvocati Alfondo Furgiuele e l’avvocato Giampaolo Cicconi, – ha dichiarato Sgarbi – sono impegnati a ricostruire la realtà dei fatti oggetto d contestazioni, che ritengo comunque infondate. Ribadisco la trasparenza e la correttezza delle mie condotte. Ho piena fiducia nei giudici che dovranno valutare il risultato delle indagini. Respingo le parziali e fuorvianti ricostruzioni di certa stampa alla quale non interessa la verità dei fatti ma accreditare come vere le ipotesi dell’accusa”.