TORINO – Dal crimine studiato al crimine raccontato: Annamaria Venere e il suo “Delitti a Torrecuso”.
L’autrice presenta il suo nuovo thriller ambientato nel Sannio, tra rituali esoterici e tradizioni popolari.

Verranno in tanti al Salone del libro di Torino per conoscere Annamaria Venere e il suo “Delitti a Torrecuso”, in uscita per PAV Edizioni in questi giorni, che verrà presentato ufficialmente proprio al Salone il 17 maggio (Padiglione 3, Stand Q18-R17) con un firmacopie previsto per le ore 12:00. L’autrice, pugliese di nascita ma siciliana d’adozione, torna nella sua amata Bari per un’anteprima del suo nuovo romanzo, un noir che intreccia elementi esoterici con le tradizioni del Sannio.
Nata a Gioia del Colle, una laurea in Sociologia con perfezionamento in Criminologia Forense, Annamaria Venere è imprenditrice nel mondo della formazione sanitaria e dal 2015 è Direttore Editoriale di Medicalive Magazine. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni saggistiche e il romanzo “All’ombra del tacco”, di cui “Delitti a Torrecuso” rappresenta il seguito.
Prima di iniziare l’intervista, un breve accenno alle prime pagine del romanzo, che ci hanno catturato fin dall’inizio. Nel prologo, ambientato nel 1999, Flora Contini ha un incubo premonitore: un uomo misterioso, che lei chiama “Cagliostro”, si aggira nel giardino della sua villa a Torrecuso. Il marito Giorgio la rassicura, ma il senso di minaccia è palpabile. Quattro anni dopo, una donna viene trovata morta nel lago di Telese, legata a un palo. Inizia così una serie di delitti rituali che sembrano avere un legame con antiche tradizioni esoteriche.

Annamaria, il suo romanzo si distingue per il mix di elementi thriller e riferimenti al folklore locale. Quanto è stato importante intrecciare queste componenti?
“È stato fondamentale. La tradizione popolare, soprattutto quella legata alle janare e al folklore del Sannio, offre un terreno narrativo ricchissimo, dove il confine tra realtà e leggenda si fa sottile. Intrecciarla alla trama giallistica mi ha permesso di aggiungere profondità e suggestione alla storia, creando un’atmosfera sospesa tra il razionale e l’ignoto. Il mistero, in fondo, non vive solo nei delitti, ma anche nelle credenze che resistono al tempo e continuano ad affascinarci”.
Nel romanzo, la protagonista Flora Contini è una maestra elementare con un’intuizione fuori dal comune che la porta a collaborare con i carabinieri. Non è una detective di professione, ma la sua sensibilità speciale – che scopriremo essere legata alla sua discendenza dalle janare, le leggendarie streghe di Benevento – le permette di vedere ciò che agli altri sfugge. Il personaggio di Flora è molto interessante. È una maestra elementare con capacità intuitive speciali. In che misura questa figura riflette la sua visione dell’intuito femminile?
“Flora è il risultato di un equilibrio affascinante: un perfetto intreccio tra intuito femminile, una sottile preveggenza da janara e solide basi di psicologia forense. È una donna capace di leggere tra le righe, di percepire l’invisibile, ma anche di analizzare i comportamenti con lucidità e metodo. In questo senso, Flora incarna la mia visione dell’intuito femminile”.
Uno degli elementi più affascinanti del romanzo è il riferimento a rituali esoterici legati all’immortalità. Nel libro, il serial killer Cagliostro si ispira alla figura storica di Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, il celebre alchimista e avventuriero del XVIII secolo, per compiere i suoi delitti rituali. Nel libro ci sono riferimenti a rituali esoterici legati all’immortalità. Da quali fonti ha tratto ispirazione per questi elementi?
“Per costruire i rituali legati all’immortalità, mi sono immersa in un mondo fatto di simboli, testi antichi e tradizioni esoteriche. Ho consultato libri e siti specializzati in simbolismo occulto ed esoterismo, cercando autori che, nel tempo, hanno esplorato il mito dell’immortalità da un punto di vista filosofico, alchemico e narrativo. Tuttavia, non volevo limitarmi a riportare nozioni: ho lasciato spazio anche alla fantasia, rielaborando ciò che leggevo in chiave narrativa, per dare vita a un Grimorio che fosse verosimile ma unico, sospeso tra il reale e l’inventato”.

Colpisce la capacità dell’autrice di creare un’ambientazione viva e autentica. Torrecuso, piccolo borgo del Sannio, non è solo lo sfondo della storia ma diventa quasi un personaggio a sé stante, con la sua storia, le sue tradizioni, i suoi segreti. Quanto tempo ha dedicato alla ricerca sui luoghi e sulle tradizioni locali?
“Torrecuso non è solo l’ambientazione del romanzo: è un personaggio vivo, con un’anima antica e misteriosa. Ci sono tornata più volte, in tutte le stagioni, proprio per coglierne le sfumature, il respiro lento e profondo che solo un piccolo borgo può avere. Provenendo da città grandi e caotiche, ho subito avvertito quel senso di sospensione dal tempo, quel silenzio carico di storie non dette. Gli abitanti mi hanno accolta con un calore inaspettato, raccontandomi tradizioni, leggende, piccoli segreti del territorio. Più che una semplice ricerca, la mia è stata una vera immersione”.
Un aspetto particolarmente interessante del romanzo è il ponte Finocchio, dove si svolgevano i processi alle streghe con la famigerata “prova dell’acqua”, un’ordalia medievale che determinava la colpevolezza o l’innocenza delle accusate. Nel finale del libro, proprio questo luogo diventa teatro di una scena cruciale che ribalta completamente le aspettative del lettore. Il ponte Finocchio e la “prova dell’acqua” rappresentano elementi storici ricchi di simbolismo. Cosa l’ha spinta a includere questi riferimenti alla caccia alle streghe nel suo romanzo?
“Questi elementi storici mi hanno sempre affascinata per la loro crudezza e per il modo in cui rivelano i meccanismi di potere e controllo sociale del passato. Nel romanzo, il ponte Finocchio diventa un simbolo potente: rappresenta il punto in cui passato e presente si incontrano, dove l’irrazionalità della superstizione si scontra con il desiderio moderno di controllo scientifico. Ho voluto che questo luogo, teatro di tante sofferenze per le presunte streghe del passato, diventasse anche il palcoscenico della rivelazione finale, come a chiudere un cerchio temporale”.
Il romanzo presenta numerosi colpi di scena che tengono il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Particolarmente scioccante è la rivelazione finale sull’identità di Cagliostro, che ribalta completamente le aspettative costruite nel corso della narrazione. Il libro presenta diversi colpi di scena. Li ha pianificati fin dall’inizio o sono emersi durante la scrittura?
“Alcuni colpi di scena erano già pianificati, ma molti sono nati strada facendo. Durante la scrittura, i personaggi prendono vita e spesso sorprendono anche me: a volte l’intreccio cambia direzione in modo naturale, quasi necessario. Amo lasciarmi guidare dalla storia quando comincia a respirare da sola”.

La formazione accademica dell’autrice emerge chiaramente nel romanzo, dove la precisione tecnica degli aspetti forensi si sposa con una narrazione avvincente. Venere riesce a dosare sapientemente le informazioni scientifiche senza mai appesantire il ritmo della storia. Il suo background in criminologia forense emerge chiaramente nel romanzo. Come bilancia la precisione tecnica con la necessità di mantenere la tensione narrativa?
“Il mio obiettivo è integrare la precisione tecnica senza sacrificare la suspense. Utilizzo le mie conoscenze di studio per rendere le situazioni realistiche, ma cerco di dosare le informazioni in modo che non appesantiscano la narrazione. La chiave è mantenere il giusto equilibrio: la trama deve restare avvincente, e la parte tecnica deve arricchirla senza annoiare”.
Nel passaggio dalla saggistica alla narrativa, quali sono state le maggiori sfide che ha dovuto affrontare?
“La sfida più grande è stata sicuramente quella di “switchare” il mio modo di pensare e scrivere: passare dalla saggistica, dove tutto ruota attorno ai dati, alla ricerca e alla verifica delle fonti, alla narrativa, dove invece è la fantasia a guidare, e dove la verità non è nei numeri ma nelle emozioni. Abituata a un linguaggio analitico e rigoroso, ho dovuto imparare a lasciare spazio all’immaginazione, a fidarmi dell’intuito e a costruire mondi possibili, non necessariamente reali. È stato un processo liberatorio, ma anche complesso: scrivere narrativa richiede un tipo di libertà che va conquistata, un passo alla volta”.
Un aspetto interessante del percorso letterario di Annamaria Venere è la sua precedente esperienza con racconti brevi, molti dei quali premiati in concorsi letterari. In particolare, ha vinto il primo premio al concorso NEROsuBIANCO di Roma con “L’ultimo inganno dell’abisso” e al concorso “Storie Noir 2025” con “AlterEgo”. Lei ha vinto numerosi premi letterari con i suoi racconti. C’è un filo conduttore che lega i suoi lavori brevi?
“Sì, c’è sicuramente un filo conduttore che lega i miei racconti brevi. Entrambi, “L’ultimo inganno dell’abisso” e “AlterEgo”, affrontano tematiche profonde legate alle fragilità umane: il dramma della malattia mentale nel primo e l’isolamento sociale durante il lockdown nel secondo. Mi interessa raccontare le sfide che le persone affrontano quando si trovano ad essere vulnerabili o emarginate”.

Il legame dell’autrice con la sua terra d’origine è un altro tema che emerge frequentemente durante la nostra conversazione. Nata a Gioia del Colle, ha vissuto a lungo a Bari prima di trasferirsi in Sicilia, ma il rapporto con la sua città di adozione resta molto forte. Come descriverebbe il suo rapporto con Bari, città che definisce di amare profondamente nonostante il trasferimento in Sicilia?
“Il mio rapporto con Bari è profondo e viscerale. È la città in cui mi sono trasferita poco più che adolescente, dove ho studiato, lavorato, abitato da sola, costruito le prime amicizie vere e vissuto momenti fondamentali della mia vita. Anche se oggi vivo in Sicilia, Bari resta una parte imprescindibile di me, ogni volta che ci torno, provo un senso di familiarità e malinconia insieme. La amo profondamente, con tutte le sue contraddizioni, perché mi ha formata e continua, in qualche modo, ad abitarmi”.
Non è un caso che il suo prossimo progetto letterario sia un romanzo ambientato proprio a Bari. “Bari nera”, finalista al Premio Letterario Internazionale “Victoria 3.0”, sembra evocare un noir ambientato nella sua città d’origine. Può raccontarci qualcosa di questo progetto?
“‘Bari nera’” è un progetto a cui sono davvero molto legata, un romanzo che ho portato avanti con passione e dedizione per anni, sottoponendolo a numerose revisioni. Ambientato a Bari alla fine degli anni ’80, il romanzo vuole essere una sorta di fotografia di quel periodo, ricco di cambiamenti sociali, politici e culturali, ma anche di tensioni e contraddizioni con l’imporsi della “Sacra Corona Unita”. Quegli anni per me sono stati fondamentali, una parte cruciale della mia crescita personale e della mia visione della città. Bari, con la sua intensità, è il cuore pulsante di questa storia noir, in cui si mescolano la criminalità, gli affari e le sfumature psicologiche dei personaggi. Sono molto felice sia giunto alla finalissima del Premio Letterario Internazionale “Victoria 3.0″, e spero che, a breve, possa catturare l’interesse di un editore e vedere finalmente la luce nella pubblicazione”.
La carriera letteraria di Annamaria Venere sembra in piena ascesa. Oltre a “Delitti a Torrecuso”, l’autrice ha altri progetti in cantiere. Dopo “Delitti a Torrecuso”, quali sono i suoi progetti letterari futuri?
“A breve, la PAV Edizioni stamperà la seconda edizione del mio romanzo “All’ombra del tacco”, il prequel di “Delitti a Torrecuso”. Sono felicissima di questa collaborazione e di poter dare nuova vita a un libro che ha avuto un grande impatto su di me. Nel frattempo, oltre a produrre qualche racconto breve, mi sto dedicando con passione a un nuovo romanzo che, spero, possa essere altrettanto coinvolgente e intrigante”.
Mentre l’intervista volge al termine, un gruppo di lettori si avvicina per chiedere quando sarà possibile acquistare il libro. Venere ricorda a tutti l’appuntamento al Salone del Libro di Torino, dove presenterà “Delitti a Torrecuso” con un firmacopie sabato 17 maggio alle ore 12 presso lo stand PAV Edizioni (Padiglione 3, Q18-R17).
“Delitti a Torrecuso” si preannuncia come uno dei noir più interessanti della stagione letteraria, capace di fondere con maestria elementi di thriller psicologico, folklore locale e riflessioni sulla fragilità umana. Un romanzo che conferma il talento di Annamaria Venere e la sua capacità di trasportare il lettore in un mondo dove razionalità e mistero si intrecciano indissolubilmente, dove il passato non è mai davvero passato e dove, come recita l’ultima frase del libro, “con le janare non si scherza”.

