MAMO Capodimonte: otto chiodi per riaprire i borghi alla vita
Cultura e Spettacoli
30 Maggio 2025
MAMO Capodimonte: otto chiodi per riaprire i borghi alla vita
Il microcosmo artistico, nato da un'idea di Massimiliano Capo e situato nel cuore del borgo, accoglierà domani la sua seconda rassegna

di Diego Galli

CAPODIMONTE – Se a New York hanno il MoMA, nella Tuscia noi possiamo di certo fare affidamento al MAMO, l’ultima idea del vulcanico direttore artistico Massimiliano Capo, persona assai nota nel panorama nostrano per le sue performance artistico/musicali, ma anche per i suoi “esperimenti sociali”, tutti accomunati da due specifici comuni denominatori: coraggio e originalità.

 

Il suo più recente progetto – sviluppato insieme all’Associazione La Festa delle Medie (con Stefano Mecocci presidente), Serena Achilli (in qualità di curatrice) e Gianpaolo Piccini – è proprio il sopraccitato “Mamo Capodimonte”, quello che potremmo definire un microcosmo artistico, ubicato in un’abitazione al piano terra situata nel cuore storico di Capodimonte. Un ambiente che Massimiliano Capo ci descrive come intimo, accogliente e in grado di accogliere solo un determinato numero di opere, otto per la precisione, e da qui il nome del format “8 Chiodi”.

 

Siamo a Capodimonte, in via Pianora 49. Una casetta assai cara e ricca di ricordi per lo stesso Massimiliano Capo, essendo un luogo dove ha vissuto ed è tornato a vivere. È qui, tra le antiche case di quello che tanto tempo fa era un mero villaggio di pescatori, che il nostro intervistato ha avuto l’interessante e originale idea. “Tutto nasce dopo una lunga riflessione, anche incentrata sul concetto di rigenerazione urbana – ci spiega – in seguito di vari appuntamenti che abbiamo realizzato tra i borghi della Tuscia. Mentre vivevamo questi momenti, tra musica e arte, ci siamo resi conto che esiste un pubblico interessato a quella che possiamo definire una programmazione di qualità, perfettamente in grado di coesistere con altri appuntamenti già esistenti”. Quello che ci racconta il direttore artistico, è un qualcosa di nuovo per la Tuscia, territorio meravigliosamente costellato di sagre, tradizioni e cultura autoctona. Un qualcosa di frizzante, ma al contempo riflessivo e che può portare luce laddove, in realtà, è richiesta.

Un momento dell’inaugurazione dello spazio

 

L’esempio lampante è proprio l’arte e la performance contemporanea, come nel caso dell’offerta del Mamo Capodimonte e del format “8 Chiodi”. Uno spazio espositivo che – come ci viene raccontato – ha subito avuto l’attenzione degli abitanti del luogo, persone alla ricerca “di altro”, nonostante l’età media decisamente alta che caratterizza i piccoli borghi della Tuscia, in fase di spopolamento. “Il nostro è uno spazio, un’offerta, che vuole rompere i soliti schemi dei piccoli paesini. All’inaugurazione, che ha visto l’esposizione delle opere di Maddalena Mauri, ha visto una grandissima e variegata partecipazione. Professori, turisti, giovani e anziani si sono ritrovati tutti insieme, tornando a mettere il dialogo e l’arte al centro dei loro pensieri”.

 

Una “rigenerazione urbana”, come anticipato, che non vuole essere delimitata dall’etimologia più cruda, ma che vuole spaziare e aprire il borgo, i suoi spazi e le stesse persone, mettendo al suo centro gli stessi abitanti. Un processo che può partire “dal basso”, con autofinanziamenti che possono essere inizialmente contenuti, ma che può “contribuire a rallentare il processo di invecchiamento e spopolamento”, come Massimiliano Capo tiene a spiegarci. Il format, infatti, oggi si sostiene tramite piccole donazioni, fondi personali, ma anche un particolareggiato e accattivante merchandising adatto a tutti.

 

“Il nostro vuole essere uno stimolo che possa aiutare a pensare che anche nei luoghi più piccoli si può fare di tutto – prosegue – Vogliamo raccontare e fare cose dove solitamente la maggior parte delle persone è solita pensare che queste non possano accadere”. Un museo che può divenire diffuso, come ci permette di intendere poi, che ogni borgo può accogliere, entrando in comunicazione con i paesi più o meno limitrofi. Quel minimo comune denominatore che sarebbe utile alla Tuscia, terra di meraviglie ma dove – salvo rare eccezioni – ogni borgo lavora in dissonanza con i suoi vicini.

 

“Partire dal posto, viverlo, entrare in comunione con la comunità locale, tornare a parlare e far parlare, mettersi uno di fronte all’altro per due chiacchiere, una tisana”. La descrizione che Capo ci offre di quello che è letteralmente “un suo spazio” ci lascia sognare un tempo che sembra essere perduto quando si guarda alle connessione digitali odierne, late ma anche fredde e stiracchiate fino ai confini del mondo. Ci fa caso anche un aneddoto riportato, dove due cicloturisti abruzzesi – di ritorno da una pedalata che li ha portati a esplorare anche il Giappone – si sono fermati attratti dalla mostra in essere. Una perfetta dimostrazione dell’attrattività turistica di questa idea, replicabile un po’ ovunque.

 

 

“8 Chiodi”, intanto, domani (sabato 31 maggio) accoglierà il suo secondo appuntamento ufficiale: “OUMI”, a opera (passateci il termine, poiché decisamente appropriato) degli artisti Libero Maggini e Giuseppe Restano e a cura di Jurji Filieri. Si partirà con un vernissage dalle 18.30, tra buona musica, cibo, immancabili chiacchiere, mentre saremo portati a riflettere sulla nostra quotidianità e sull’interazione con il mondo che ci circonda dalle esposizioni.

 

Quella quotidianità forse perduta, e oggigiorno sostituita dalla routine, dal “tran tran”, e che solo i nostri padri, nonni e “anziani” potrebbero aiutarci a riscoprire, anche grazie a idee come quella presentata da Massimiliano Capo e il suo team di visionari partner.