CIVITAVECCHIA – Dietro lo slogan del “rilancio strategico” si nasconde forse l’ennesimo gioco di potere ai danni della trasparenza pubblica. È quanto emerge da un esposto firmato dal tecnico civitavecchiese Silvio Dionisi e inviato a Procura, ANAC e Prefettura, che accende i riflettori su un potenziale conflitto di interessi che coinvolge direttamente il sindaco Marco Piendibene.
L’oggetto del contendere è il Psse – Piano di sviluppo strategico ed economico – recentemente approvato dal Consiglio comunale. Un piano che promette sviluppo e attrattività, ma che ha già sollevato dubbi profondi sulla sua gestione. In particolare, Dionisi segnala che all’interno del perimetro d’intervento del piano ricadrebbero due particelle catastali e un immobile riconducibili al primo cittadino e alla sorella, terreni attualmente classificati come agricoli ma potenzialmente destinati a uso industriale.
Una trasformazione che, secondo l’esposto, aumenterebbe il valore di quelle aree da pochi euro al metro quadro fino a 100 euro. In pratica, un’impennata fino a trenta volte superiore al valore attuale, destinata a gonfiare il patrimonio immobiliare dei diretti interessati. E qui scatta la domanda cruciale: può un sindaco approvare un piano che riguarda direttamente i propri beni senza comunicarlo, senza dichiararlo e senza nemmeno astenersi?
A rendere il caso ancora più critico è il fatto che tali proprietà non risultano nella dichiarazione patrimoniale pubblica del sindaco, come invece previsto dalla normativa sulla trasparenza. Non sono mai state citate durante la discussione o la fase istruttoria del piano, né tantomeno durante il voto finale.
Marco Piendibene, interrogato sull’argomento, ha provato a minimizzare: “Il Psse è solo un documento d’indirizzo”. Ma questa risposta non basta. È un tentativo goffo di sminuire un atto che – pur non essendo una variante urbanistica – ha un chiaro peso programmatico e indirizza le future scelte pianificatorie della città.
Se anche la quota immobiliare fosse marginale in termini di superficie (circa il 3%), il principio resta violato. La fiducia dei cittadini non si misura in percentuali: si misura nella trasparenza, nell’etica pubblica, nella correttezza istituzionale. E qui, tutto ciò sembra clamorosamente mancato.
Siamo di fronte a un caso che non può essere archiviato come una leggerezza. È un precedente pericoloso: se passa il messaggio che un sindaco può decidere sul futuro urbanistico della città pur essendo parte interessata – senza dire una parola – allora ogni confine tra interesse pubblico e tornaconto personale viene definitivamente abbattuto.
A Piendibene non si chiede solo di chiarire: si chiede un’assunzione di responsabilità politica e morale. Fino a quel momento, il sospetto resta. E con esso, una profonda ferita alla fiducia dei cittadini verso chi dovrebbe rappresentarli.

