Montalto di Castro – Una tragedia senza colpevoli, solo dolore: il passo umano della giustizia a Civitavecchia
Cronaca
16 Luglio 2025
Montalto di Castro – Una tragedia senza colpevoli, solo dolore: il passo umano della giustizia a Civitavecchia

MONTALTO DI CASTRO – Ci sono storie che colpiscono nel profondo, perché parlano della fragilità dell’essere umano, e ci sono magistrati che sanno affrontarle con il peso che meritano. La morte di Riccardo Boni, il 17enne sepolto dalla sabbia sulla spiaggia di Montalto di Castro, è una di quelle tragedie che lasciano attoniti. Un gioco, un pomeriggio d’estate, un gesto che molti ragazzi hanno fatto almeno una volta: scavare una buca. E poi il crollo. Il silenzio. La corsa dei soccorsi. Ma soprattutto, una famiglia distrutta in pochi istanti.

In mezzo a questo dolore, la giustizia ha fatto il suo corso. Lo ha fatto con i suoi strumenti – un’indagine, un fascicolo, un’iscrizione nel registro degli indagati – ma anche con un tratto che raramente si nota tra le righe dei provvedimenti ufficiali: il rispetto profondo per la sofferenza. A guidare l’inchiesta, il procuratore capo di Civitavecchia, Alberto Liguori. Un magistrato esperto, sì, ma anche una persona capace di trattare la legge come uno strumento umano, e non solo burocratico.

Il padre di Riccardo è stato iscritto nel registro degli indagati. Un passaggio necessario, puramente tecnico, per consentire l’autopsia e gli accertamenti irripetibili. Nessuna accusa, nessuna ipotesi di colpevolezza. Solo la necessità di accertare i fatti. Ma mentre fuori qualcuno ha scelto di puntare il dito, soprattutto sui social, Liguori ha scelto il silenzio. Nessuna dichiarazione pubblica, nessun clamore. Solo la sobrietà che si addice a chi sa che la legge non è un megafono, ma una responsabilità.

E così l’indagine va avanti, senza ombre, con ogni probabilità verso un’archiviazione. Perché la dinamica è chiara, e non ci sono responsabilità penali da accertare. Riccardo, quel giorno, aveva scavato per gioco. Secondo una delle ipotesi, dopo aver raggiunto una profondità di circa un metro e mezzo, avrebbe provato a collegare due buche con un piccolo tunnel. Ma quando ha scavato in orizzontale, la sabbia ha ceduto. Era solo, steso a terra, e non è riuscito a liberarsi.

Ad accorgersi di tutto è stato il fratellino più piccolo, appena cinque anni. «Riccardo è sotto la sabbia», ha detto. All’inizio nessuno lo ha preso sul serio. Solo più tardi quelle parole hanno trovato il loro tragico significato. È stato lui a indicare ai soccorritori il punto esatto. Quando è iniziata la corsa per salvarlo, era già troppo tardi.

Sulla spiaggia, restano ancora i nastri dei carabinieri a delimitare la buca. I turisti la chiamano “la duna maledetta”. Ma dietro quel soprannome, dietro i titoli dei giornali, dietro i commenti da tastiera, c’è solo una famiglia in lutto. E c’è un procuratore che ha scelto di ascoltare il dolore, prima ancora che dettare sentenze. In un’Italia spesso schiacciata dalla propaganda e dai processi mediatici, storie come questa ci ricordano che c’è ancora spazio per un altro modo di fare giustizia.

Uno in cui, almeno ogni tanto, il diritto si piega per accogliere l’umanità.

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