VITERBO – Si è spento all’età di 63 anni Paolo Garzia, figura storica e amatissima della Viterbese Calcio. Per anni è stato il punto di riferimento silenzioso ma fondamentale del club gialloblù, vivendo da protagonista dietro le quinte alcuni dei momenti più intensi e appassionati della squadra.
La notizia del suo malore era già circolata nei giorni scorsi sui social, ma nessuno immaginava un epilogo tanto rapido quanto drammatico. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto profondo nel cuore di chi lo ha conosciuto e stimato.
Conosciuto da tutti come “Paolo borza”, Garzia era originario di Anzio ma adottato dalla città di Viterbo grazie alla volontà del presidente Jerry Aprea, che lo volle con sé durante una delle stagioni più vivaci e coinvolgenti della Viterbese. Un’epoca ricca di emozioni, fatta di nomi importanti come Domenica Palozzi e Ferdinando Ciambella, e di una passione autentica che si respirava in ogni angolo dello stadio.
Paolo era l’anima silenziosa dello spogliatoio. Arrivava allo Stadio Enrico Rocchi all’alba, curava ogni dettaglio: lavava, asciugava, stirava e disponeva con meticolosa precisione ogni capo d’abbigliamento, dalle tute alle divise ufficiali. Ogni giocatore trovava il proprio kit perfetto, profumato e ordinato. La sua dedizione era tale da far sembrare il magazzino un laboratorio di eccellenza, più simile a una boutique di precisione che a un deposito sportivo.
Nelle trasferte era insostituibile: le sue borse, sempre preparate con cura quasi maniacale, contenevano tutto il necessario non solo per i calciatori, ma anche per tecnici e dirigenti. Con lui hanno lavorato allenatori di spessore e calciatori destinati a brillare nel panorama nazionale, tutti accomunati da un profondo rispetto per la sua figura.
Uomo riservato, ma sempre presente nei momenti chiave della squadra, era considerato una vera e propria istituzione. Confidente fidato nei momenti difficili, presenza familiare in quelli felici, era amato dai giocatori e rispettato dalla tifoseria, che gli ha sempre riconosciuto un ruolo centrale nella vita della Viterbese.
Purtroppo, negli ultimi anni qualcuno ritenne di allontanarlo, accusandolo di essere “troppo legato alla viterbesità”, nonostante le sue origini laziali. Fu un colpo durissimo per lui, che aveva trascorso oltre vent’anni nei sotterranei dello Stadio Rocchi, tra stanze afose d’estate e gelide d’inverno, sempre in mezzo a scaffali ordinati e forniture pronte all’uso.
Oggi il calcio viterbese – e non solo – piange la perdita di un uomo straordinario, che ha fatto dell’impegno, della discrezione e della passione il proprio stile di vita. La sua memoria resterà viva nei racconti, nei ricordi e nei cuori di chi ha avuto la fortuna di incrociarlo sul cammino.


