Non sarà stato l’evento mediaticamente più seguito in Italia, in un weekend come l’ultimo trascorso. Anche perché lontano da Roma, in Italia ha suscitato meno orgoglio, meno fascino, meno attenzione. Ma era pur sempre la Ryder Cup, l’evento del golf più planetario che esista. Quello in cui i migliori dei due Continenti, per storia e tradizione, si affrontano gli uni contro gli altri.
L’Europa ha vinto in casa degli States. Di chi sempre ne ha avuto di più. Di chi nel duello ha l’albo d’oro chiaramente dalla sua parte. Si pensavano di metter quel punto esclamativo, oltreoceano. Invece New York, a casa loro, è stata indigesta. E proprio come due anni fa, a Roma, trionfo del Vecchio Continente. Che alla lunga costruisce e scala quello che alla vigilia sembrava impensabile: giorno dopo giorno per quel 15-13 già storico. Per la gioia incontenibile dei protagonisti europei, festa grande anche nei loro rispettivi paesi, nonostante fuso orario oltreoceano.
Ed è stata per tanti versi anche la vittoria italiana. Già, ancora con le nostre massime istituzioni del golf sugli scudi. Ancora vice capitani, i fratelli Molinari. Straordinari dietro le quinte, a muover le fila, a tesser le ragnatele giuste per ingarbugliare il piano a stelle e strisce. Strategicamente e tatticamente hanno inciso, eccome.
Alla fine l’immagine e fonte di godimento più bella, per gli europei, è stata la conferenza stampa di Mcllroy, il nordirlandese numero 2 al mondo che sbeffeggiato e provato più volte in gara, ha risposto con massima eleganza, parlando di principi di questo sport che dovrebbero esser ben diversi rispetto a quanto mostrato rispetto a chi, in questa disciplina, resta una delle due massime istituzioni. Scalzata, come a Roma, in questo caso. Il ruggito del Vecchio Continente, altissimo l’Inno alla Gioia.

