La nuova guerra fredda è online, Boccacci (Cyber Actors): “Europa più consapevole ma divisa, serve risposta comune e maggiore cultura digitale”
Cronaca
8 Ottobre 2025
La nuova guerra fredda è online, Boccacci (Cyber Actors): “Europa più consapevole ma divisa, serve risposta comune e maggiore cultura digitale”
Intervista all'ethical hacker Gianluca Boccacci, presidente dei Cyber Actors, che commenta la sfida dell’Italia e dell’Europa di fronte alle minacce ibride e alla disinformazione digitale

di Diego Galli

Il mondo è tornato a vivere in una tensione da nuova guerra fredda. L’Europa e la Russia si osservano in un confronto sempre più acceso che, tra sanzioni, sabotaggi e operazioni di spionaggio digitale, somiglia sempre meno a un semplice dissidio politico e sempre più a un conflitto silenzioso ma continuo. Nel frattempo, al netto degli odierni tentativi di pacificazione, il Medio Oriente brucia. Le tensioni tra Israele, Iran e i loro alleati regionali si intrecciano con interessi globali, spingendo potenze come Stati Uniti, Cina, Paesi europei e Russia a giocare partite parallele su più tavoli.

In questo scenario, la rete diventa il nuovo campo di battaglia. Non servono carri armati o bombardieri per destabilizzare un Paese: bastano attacchi mirati ai sistemi energetici, campagne di disinformazione ben orchestrate o intrusioni nei centri decisionali di governi e grandi aziende. La cyberguerra non è più un rischio teorico: è la forma quotidiana del conflitto contemporaneo, in primis tra le potenze più grandi in gioco.

A parlarcene è Gianluca Boccacci, ethical hacker ed esperto di Cyber Security, presidente dell’associazione Cyber Actors e fondatore del Cyber Act Forum, l’evento dedicato alla cybersicurezza che per il quinto anno consecutivo si terrà a Viterbo, il 24 ottobre 2025.

Boccacci, che da oltre dieci anni si occupa di sicurezza offensiva e threat intelligence, ha collaborato con istituzioni e realtà di primo piano come la Presidenza del Consiglio, il Senato della Repubblica, il Ministero dell’Interno, il Politecnico di Milano, BNL ed Engineering. Con lui abbiamo parlato di guerre ibride, vulnerabilità italiane e cultura della cybersecurity, in un mondo dove il confine tra pace e conflitto passa sempre più spesso attraverso un cavo di rete.

Come presidente di Cyber Actors e organizzatore del Cyber Act Forum, come vede oggi la preparazione dell’Italia e dell’Europa di fronte alle minacce di una guerra ibrida sul piano informatico?

Oggi vedo un’Europa più consapevole ma ancora frammentata. Anche l’Italia ha fatto passi avanti importanti nella governance della cybersicurezza, ma serve maggiore coordinamento tra pubblico e privato. Purtroppo le minacce ibride non colpiscono solo le reti, ma anche la fiducia dei cittadini: la risposta deve essere unita, rapida e basata sulla condivisione di informazioni.

Quali infrastrutture o settori strategici italiani ritiene più vulnerabili a un attacco cyber legato al contesto russo o mediorientale?

I settori più esposti sono quelli energetici, dei trasporti e della sanità. Sono infrastrutture vitali, spesso con sistemi datati e una forte dipendenza da fornitori esterni. Non si può nemmeno non tener conto del mondo delle piccole e medie imprese. Ancora oggi rappresenta l’ossatura economica del Paese, ma resta un bersaglio facile per la scarsità di risorse dedicate alla sicurezza.

Dalla sua esperienza, quali segnali anticipatori permettono di capire che un Paese sta subendo un attacco informatico coordinato e su larga scala?

I primi segnali arrivano quasi sempre da anomalie diffuse: rallentamenti simultanei, picchi anomali di traffico, campagne di phishing mirate e un aumento improvviso di disinformazione online. Quando questi aspetti si muovono insieme, questo è spesso l’indizio di un’operazione ibrida coordinata.

In un mondo sempre più digitale, quanto sono concrete le minacce di ingerenze, disinformazione e manipolazione dell’opinione pubblica per l’Italia?

Sono molto concrete. La guerra informativa oggi si combatte anche nei social network, dove notizie false o manipolate possono orientare il dibattito pubblico e indebolire la fiducia nelle istituzioni. Servono alfabetizzazione digitale, verifiche indipendenti e una strategia nazionale di contrasto alla disinformazione. La necessità di affrontare un tematica come la “cultura digitale”, anche partendo dalle scuole, è un imperativo non più trascurabile.

Alla luce di ciò che osserva nel panorama odierno, l’Italia ha oggi le competenze e la cultura della cybersecurity necessarie per affrontare questo nuovo scenario globale?

Le competenze stanno fortunatamente crescendo, ma la cultura della cybersecurity deve ancora diventare diffusa. Come anticipavo, non basta formare solo esperti: serve creare consapevolezza a tutti i livelli, dalle scuole alle imprese. Organizziamo il Cyber Act Forum per questo motivo. La sicurezza informatica non è solo tecnologia, è un atteggiamento collettivo di responsabilità.

Il Cyber Act Forum 2025

L’appuntamento con la quinta edizione del Cyber Act Forum è fissato per venerdì 24 ottobre 2025, a Viterbo. Un evento che negli anni è riuscito a trasformare un territorio noto per il suo patrimonio storico e artistico in un punto di riferimento nazionale per la sicurezza digitale.

Tra gli ospiti di quest’anno figurano esperti di fama internazionale come Paolo Benanti, Pierguido Iezzi, Selene Giupponi, Luca Bongiorni, Emanuele De Lucia, Alessio Aceti, Michele Mezza, Alessandro Aresi, Gerardo Costabile, Luca Francioso, Joele Milazzo e Maximilian Bode.

I biglietti, ancora disponibili e gratuiti, sono reperibili a questo indirizzo.

Il messaggio finale di Gianluca Boccacci è limpido: la difesa digitale non è una materia per pochi specialisti, ma una nuova frontiera della cittadinanza consapevole. Perché nel mondo che si prepara a un possibile conflitto globale, la vera trincea passa per la capacità di proteggere — e comprendere — l’informazione.

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