
Una serata d’emozione. Riflessione, tanta. Ma soprattutto emozione, tantissima. Edoardo Bove ha toccato le corde di tutti. Ragazzo meraviglioso, esempio straordinario di coraggio. Limpidezza, pulizia e valori. Coraggio, soprattutto. Chiarezza espositiva davanti a Sanremo, davanti a tutta Italia. E davanti agli occhi di tutto il Bel Paese quella semplicità, quella trasparenza ma quel bagaglio di spessore culturale e di profondità, con cui ha espresso il dramma che ha rischiato di correre e quello sportivo che continua a vivere. Come noto, da quel maledetto primo dicembre Bove, che dopo tanti lui romano e romanista aveva scelto Firenze per rilanciare la sua carriera, non può più giocare a calcio. Quantomeno in Italia, quantomeno fino a questo momento. La grande paura, il grande spavento, quel drammatico malore accusato nella gara tra Fiorentina e Inter che ha colpito, terrificato e successivamente commosso tutta Italia. Poi l’ospedale Careggi e quindi l’intervento: gli è stato applicato un defibrillatore sottocutaneo che, norme sportive domestiche, non gli consentono al momento comunque (continua a svolgere analisi e diagnosi) di giocare in Italia. Mentre studia il suo presente ed il suo futuro, un esempio del genere non poteva che esser invitato a Sanremo per l’ultima serata, quella decisiva, quella delle eccellenza. Manifesto ed esempio. E davanti a tutti, si esprime così: “Sto vivendo questa esperienza in un modo un pochino particolare. Alti e bassi. Il calcio è la mia forma d’espressione. Senza, mi manca qualcosa. Come per un cantante se gli mancasse una voce. Può esser paragonato ad una persona che perde un grande amore, o ad una persona che avverte una grave perdita. In questo momento mi sento un pochino incompleto, vuoto. So che ci vuole tempo e tanto coraggio. Mi sto facendo aiutare: un percorso d’analisi su me stesso, anche per rivivere certe emozioni provate, un percorso che mi fa star male e mi fa soffrire ma mi servirà per il futuro”.
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